Fare pace con la perfezione

Può diventare un’ossessione e farti allontanare da gioia e pienezza di spirito. Ecco una saggia terapia per imparare a commettere errori, consapevolmente
di Sally Kempton

Lisa è una perfezionista. Lo è stata tutta la vita, mi racconta quasi scusandosi. Lavora correggendo testi in una casa editrice e a volte rivede un manoscritto anche 10 volte, per essere sicura che non le sfugga alcun errore. Gli autori che segue non riescono a credere quante inesattezze riesca a evidenziare e si stupiscono per le sue chiamate al mattino presto (per domandare qualcosa riguardo alla coniugazione di un verbo nel sesto paragrafo di pagina 29). Lisa comincia un corso di meditazione per rilassarsi e ridurre il tasso di ansia che si cela sotto questo perfezionismo esasperato. Anche in questa pratica, così sottile e delicata, non è mai sicura se stia facendo la cosa giusta. È facile per me riconoscere il dilemma di Lisa, essendo io stessa una perfezionista. Ricordo quando ero giornalista, avevo l’abitudine di riscrivere l’attacco iniziale dei miei articoli decine di volte. Nei miei primi anni di pratica, perdevo ore a cercare di capire se avrei raggiunto prima l’illuminazione nella posizione del Loto completa o nella versione più semplice. Ho vissuto sulla mia pelle la tirannia del perfezionismo; ho visto come aumenta l’ansia, l’insoddisfazione e rende vano il duro lavoro di un progresso personale e spirituale. Dovremmo sapere che la perfezione non è uno stato assoluto da acquisire, quanto piuttosto un senso di completezza che cresce spontaneamente dal cuore.

Momenti Magici
All’età di 10 anni, ho realizzato la mia prima esperienza di quella sensazione che chiamo “verità”. Stavo giocando a “ruba bandiera” in cortile e mentre correvo con gli occhi puntati sul fazzoletto bianco, mi esplose nel cuore uno stato di felicità incontenibile. Tutto ciò che vedevo e sentivo sembrava collegato e radioso e faceva parte della mia gioia. Dentro di me  c’era tutto ciò di cui avevo bisogno, un’abbondanza che scorreva infinita. Veniva dal cuore, ma come avevo fatto a raggiungerla? Come potevo tenerla con me? Da allora nella vita ho provato questo sentimento numerose volte. È anche per questa esperienza che pratico meditazione e yoga, anche se so che non è qualcosa che io possa fare accadere. È quel momento perfetto in cui se qualcuno pone una domanda, conosci la giusta risposta; sei realizzato ovunque tu sia e in qualsiasi posizione. Anche se  accade qualcosa di doloroso, il sentimento di perfezione non passa.

Gioia e Perfezione
In Sanscrito la parola perfezione è tradotta con purna, completezza, integrità. I testi vedici raccontano che ogni creatura vivente cresce e allo stesso modo contiene  questa pura energia (shakti), intrinsecamente completa, perfetta e gioiosa. Presente in tutte le forme di pensiero, stati d’animo, in un filo d’erba, nelle note di un violino che suona un concerto di Mozart, negli occhi della tua passione. Quando siamo in contatto con quell’energia, tutte le dicotomie – luce/buio, cattivo/buono, uomo/donna – sono risolte. Invece, nella nostra vita quotidiana, l’idea di perfezione si traduce in “senza difetti”. Un 10 e lode, l’arco perfetto di un tuffatore e la sua entrata in acqua senza spruzzi; la perfezione è un traguardo umano al massimo livello. La nostra società vive di classifiche e immagini mediatiche che suggestionano questo tipo di perfezione. Se i denti sono storti , devi mettere l’apparecchio; se sei in carne devi fare la dieta o la liposuzione; se la tua relazione non funziona, trovati un nuovo partner. Quando non riusciamo a rendere le cose della nostra vita perfette, c’è qualcosa di sbagliato in noi (o nel mondo). L’ironia di tutto questo è che il nostro ideale di perfezione, che deriva dalla tensione del nostro ego di manifestarsi e controllare, ci allontana dalla reale esperienza di perfezione. Come tutti i costrutti intellettuali, copre la pentola mentre  vi ribolle il gioioso caos della realtà, sostituendolo con delle definizioni superficiali e artificiali di cosa sia appropriato o bello. Condizionati come siamo dall’educazione e dalla cultura, alcuni di noi non reggono lo stress di questo tipo di tirannia del perfezionismo. La ricerca di perfezione ci rende rigidi; crea una doccia d’ansia anche nei momenti in cui stiamo praticando un rilassamento. Il modo migliore per testarlo è osservarti attenamente. Il tuo stomaco si contrae quando pensi di non aver realizzato la posizione in maniera corretta? Esci da uno stato meditativo domandandoti se quello che hai raggiunto e visualizzavi era il testimone di te stesso oppure solo un altro livello del tuo chiacchiericcio mentale? Pensi che se non hai almeno mezz’ora per meditare, allora è meglio non meditare affatto? Hai paura di fare errori e che si manifesti apertamente il lato oscuro della tua personalità? Se hai risposto sì a qualcuna di queste domande, probabilmente tendi ad essere un perfezionista.

Il Positivo e il Negativo
Però a questo punto potresti controbattere: “Sally, però il perfezionismo non è sempre così malvagio. Cosa dovrebbe fare allora un musicista che pratica una diteggiatura su una chitarra in maniera fluida, dimenticandosi della tecnica e dello spartito? E lo scienziato che deve sperimentare senza sosta e senza ombra di dubbio quel nuovo farmaco anti cancro? Non ha più senso la ricerca della felicità?” È vero, è come il colesterolo, c’è quello buono e quello cattivo. Dipende da come ci sentiamo con questo atteggiamento.  Lo psichiatra D.E. Hamacheek, nel suo trattato “Perfezionismo: Teoria, Riceca e Trattamento” definisce sano “chi aspira ad uno standard realistico e ragionevole che conduce ad un senso di miglioramento dell’autostima e piacere, alla completezza”, mentre “il perfezionismo patologico ha la tendenza a condurci a standard che alimentano preoccupazione, paura e senso di fallimento”. Carl Jung ha affermato che un sano atteggiamento di perfezionismo scaturisce dal bisogno fondamentale di individuazione dell’uomo e della sua crescita spirituale. Un perfezionista “sano”si confronta con sé stesso, non con gli altri. Cerca un completamento del proprio potenziale interno, in un processo di gioia. I perfezionisti sani si danno una pacca sulla spalla di approvazione, mentre quelli poco sani tendono a sottovalutare i loro successi e ricordare solo i loro fallimenti. I perfezionisti poco sani vogliono un’eccellenza approvata e validata da autorità esterne, e quindi hanno paura di fallire. Inoltre, i perfezionisti possono comportarsi in maniera tirannica verso gli altri. Spesso cavillano su piccole questioni, non perché sappiano realmente cosa sia giusto o sbagliato, ma perché temono i propri sentimenti di incompetenza o inadeguatezza.

Antiche radici
Alcuni psicologi segnalano che un perfezionismo distorto è spesso il risultato ad una “accettazione condizionale” da parte di quelle figure che esercitano una posizione di autorità nella formazione educativa. Un padre perfezionista invia il messaggio che per essere amato un figlio deve dare dei risultati. Il figlio persevera negli anni, e alla fine non distingue più la voce della sua natura da quella del padre. Quando cominciamo a praticare yoga con l’intento di intraprendere un percorso di crescita, il “giudice interiore” chiude i sensi per evitare che ci siano cambiamenti di regole. Spesso gli abituali paradigmi mentali “confortati” dalle insicurezze, si spostano sull’incapacità di piegare le gambe e toccarsi le punte dei piedi, piuttosto che di calmare la mente nella posizione del Loto.

Tipologie di perfezionisti
Quando ho cominciato a frequentare i ritiri yoga notavo due diversi tipi di ricercatori di perfezione. Il tipo A era sempre tra i primi ad arrivare nella sala e l’ultimo ad uscire. Era continuamente compulsivo nelle posizioni durante la meditazione, e aveva occhi poco concentrati, mai puntati ad uno sguardo interno. Uno di loro un giorno mi confessò che provava piacere nel scegliere nel gruppo la persona più dedita alla meditazione e batterla. “In un ritiro mi confrontai con un giapponese che rimaneva costantemente al suo posto 5 minuti più di me. Ho cominciato a svegliarmi sempre prima la mattina e lo trovavo sempre lì. Un giorno arrivai all’1 del mattino  e lui era lì! In quel momento, ho realizzato che ci doveva essere una strada più facile per l’autorealizzazione”. Il tipo B era generalmente un karma yogi che non aveva un bottone per spegnersi, lavorava 18 ore al giorno, ogni giorno della settimana. Una volta, vedendo qualcuno sbadigliare, durante una lezione disse: “Dormire fa bene, non tutti posseggono il tipo di devozione necessario per lavorare tutta la notte”. Nessuno dei due tipi di perfezionisti yogici sembrava sapere quando smettere, anche se il maestro nell’ashram li incoraggiava a prendersela con più tranquillità, mangiare e riposarsi di più. Insensibili alle esortazioni di perseguire un atteggiamento più equilibrato, loro continuavano imperterriti diventando sempre più magri e irritabili. Fino a quando arrivava puntuale un esaurimento. Il giorno in cui non riuscivano più ad alzarsi dal letto per una meditazione, spesso era la fine della loro sadhana.

Il permesso di essere imperfetti
La trasformazione e i risultati ovviamente non avvengono senza porvi dello sforzo e un po’ di sacrificio, ma l’importante è la qualità del sacrificio, non la quantità: l’intenzione e la comprensione sono più importanti del sudore. I cambiamenti avvengono nella sottile osservazione dello spazio tra un respiro e l’altro, nel percepire il testimone in te,  nella tempesta ininterrotta di pensieri. Swami Muktananda, una volta disse “Alla fine della tua sadhana, alla fine del tuo percorso, scoprirai che tutto ciò che stavi cercando era già dentro di te, quindi comincia a meditare con questa nozione e ti eviterai ulteriori complicazioni”. La perfezione è già dentro te, tienilo a mente per non intraprendere una spirale perfezionista distruttiva. Ogni volta che accetti te stesso, rallenti la presa dalla dipendenza di rendere la vita, la pratica, il corpo sempre più perfetti. Prova a capire come si manifesta la tua ansia da perfezione e dove risiede nel tuo corpo. È un atteggiamento persistente, bisogna lavorarci a diversi livelli. Quindi ricorda che la prima regola è imparare a concederti il permesso di essere te stesso. È la piattaforma da cui nasce il cambiamento

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Le sei regole
1 • Smonta il tuo Critico interiore

Quando la voce interna comincia la sua litania negativa, ribaltala. Costruisci una contro affermazione per ogni critica che ti rivolgi. Non ferirti da solo, abbiamo già abbastanza critici. Ci metterai un pò, ma funziona.

2 • Permettiti di non essere il migliore
Uno studente di liceo ha scelto di dedicare a certe materie  il tempo necessario per prendere un 6 (che riteneva sufficiente) e dare più importanza a materie che lo appassionavano di pù. Questa situazione lo faceva sentire più felice e libero. Un maestro Zen una volta disse che ci sono momenti in cui “l’80% è sufficiente”.

3 • Permettiti di dare il minimo
Se non riesci a fare qualcosa completamente, è meglio non farla? Sbagliato! Nello yoga e nelle faccende domestiche la verità è all’opposto. Meglio 5 minuti di meditazione che nessuno; se non puoi fare tutta una sequenza di Hatha yoga, fai le prime tre posizioni soltanto. Qualsiasi sforzo è utile.

4 • RiconoscI errori e fallimenti
Chi ha paura di fare errori spende molte energie mentali nel nasconderlo. ”Forse non ho ancora la flessibilità sufficiente nei legamenti? No, non sto facendo abbastanza sforzi”. E così via nelle diverse variazioni sul tema. Riconoscere gli errori, non implica che la tua vita sia un fallimento. È un primo passo terapeutico verso la liberazione. Quando riesci a mollare la presa su una realtà idealizzata, fai spazio alla verità.

5 • Rimani nel momento
Concediti di vivere i momenti di paura e ansia. Dà loro il benvenuto, fermati e non fare nulla. Osserva e non dare seguito ad alcun tipo di giudizio.

6 • L’energia della perfezione
I pensieri e i sentimenti sono forme di energia. Anche nella loro manifestazione più negativa rappresentano  l’essenza dell’amore. Tutte le nevrosi e gli ostacoli, anche i più ostinati, contengono l’energia per superarli, come i principi omeopatici. Devi solo dare loro spazio e tempo.

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