Il Piacere di essere sinceri

“Naked, Una Storia di Yoga, Zen e Rock’N’Roll” è LA GENEROSA biografia di Marco Mandrino, fondatore delle scuole Hari Om in Italia. ED è la prima perla della nuova collana di libri digitali editi da Yoga Journal (la trovate su e-book.yogajournal.it). Qui di seguito, una breve intervista all’autore su alcuni dei numerosi spunti OFFERTI DAL LIBRO SU yoga E insegnamento, pubblico E privato. Tutto IN una limpida luce di autoironia

Scrivi che quando hai deciso di “denudarti”, letterariamente parlando, lo hai fatto perchè ti dava piacere. È stata una sorta di Kriya, di pulizia interiore che hai praticato (e scritto) con costanza giorno per giorno?

Di base tutti fanno le cose per il “piacere”. Personalmente, il piacere di cui parlo è il sentirmi in armonia con il momento presente e quindi non legato a un desiderio o a uno scopo. Il fare “naturale” che smette di essere fare e diventa divenire. Per il libro è stato così. L’ho sentito più che pensato. Poi, su un piano più pratico sono subentrate la volontà, la costanza e la disciplina. Non essendo uno scrittore, mi sono impegnato con me stesso a passare almeno 5 ore al giorno a scrivere per un mese e il libro così è iniziato e finito. Il mese di scrittura è anche stato effettivamente come un Kriya.

La figura della tua mamma, Angela, e della sua improvvisa assenza, mi sembra essere stata fondamentale per la tua formazione emotiva. In qualche modo l’hai compensata nello yoga?

La meditazione è stata un mezzo fondamentale, ha instaurato in me l’abitudine all’osservazione neutra di me stesso e di ciò che mi sta attorno e di quanto quell’avvenimento doloroso influenzasse la mia vita e le mie relazioni. Mi ha aiutato anche a centellinare il suo ricordo in modo che diventasse sostenibile, fino a trovare il coraggio di scriverne. Mi mancherà sempre, ma oggi Lei è una piacevole nota malinconica accompagnata da un sorriso e non più una ferita aperta.

In qualche maniera rappresenti uno stile d’insegnamento yoga più libero di altre scuole. Hai esplorato l’India, l’Australia, gli Stati Uniti e sembri svincolato da una tradizione millenaria, che oggi, secondo te, non rappresenta un parametro di civiltà e moralità con cui confrontarsi.

Assolutamente vero. Ho un approccio inclusivo e non esclusivo verso tutte le tradizioni e le scuole. Tutto mi influenza, ma nulla ha l’esclusiva. Trovo ogni discussione su quale sia l’approccio o la scuola migliore una discussione inutile, sterile e ignorante. Incoraggio le persone a creare il loro yoga e non a scegliere quello di qualcun altro. La tradizione antica dello yoga mi lascia per lo più perplesso. Le scritture sono inadeguate rispetto alla realtà che stiamo vivendo ora. Ciò che viviamo probabilmente non sarebbe lo stesso senza di esse, e da qui nasce il rispetto, ma adesso vi sono libri e insegnanti con una coscienza molto più sviluppata rispetto a chi ha scritto gli Yoga Sutra, la Gita o L’autobiografia di uno Yogi. Il linguaggio usato è più comprensibile e anche la capacità narrativa è infinitamente migliore. Quando si legge un libro, bisognerebbe porsi come prima domanda se la lettura risulta piacevole e scorrevole. Se quando si guarda il volume viene l’impulso di prenderlo e leggerlo o il contrario. Onestamente, i libri famosi della letteratura yoga sono di una noia mortale. Per me il mezzo è il fine, un libro noioso è semplicemente noia. L’India e la sua cultura politica sono poi, generalizzando un poco, portatrici di una cultura spiritualmente isolazionista che non onora la natura e le relazioni. Secondo essa, la ricerca della comprensione passa attraverso una vita solitaria lontana dal mondo, denigrando la propria umanità e l’ambiente in cui vive.

Spesso affermi che le motivazioni dei tuoi allievi non sono affare tuo. Qual è il ruolo e la responsabilità di un insegnante yoga?

L’insegnante deve mettere lo studente al centro, esserci ma non troppo: un esempio di fluidità, leggerezza, assenza di paura nell’azione. Chi insegna deve saper sorridere, essere ironico e auto ironico, oltre che autorevole. E distinguere quando è il caso di “fare l’insegnante” e quando di essere amico. L’insegnamento didattico non m’interessa. Le tecniche sono i motivi apparenti del perchè una persona s’iscrive a un corso e vanno onorati, ma l’insegnamento vero e proprio è tutto ciò che c’è oltre la didattica. Mi rendo conto di “insegnare” di più nelle pause, con grande piacere, onorando i tanti benefici reali di cui la pratica è portatrice. Sintetizzando, l’insegnante dovrebbe avere la capacità di sparire nel flusso dell’insegnare.

Mandrino

 

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